dicembre 2024
Riflessione introduttiva
Ho una fede incrollabile, perché radicata in un futuro di decisioni e non di previsioni, nel fatto che ebrei, cristiani e musulmani ci ameremo e riconosceremo gli uni gli altri. Ho una fede incrollabile nel fatto che Gerusalemme sarà un giorno la tenda benedetta della nostra fraternità in Abramo per la benedizione del mondo.
(Paolo Dall’Oglio)
Cari amici e amiche, pace a voi. Pace alla Terra santa che da un anno e due mesi vive nuovamente una guerra fratricida tra Israele e Palestina. I numeri sono scioccanti: più di 44000 persone massacrate, di cui più di 14000 bambini. Come possiamo chiamare questi bambini? Terroristi di Hamas? Effetti collaterali della guerra? Chi accetta di farlo alzi la mano.
È una situazione complessa e difficile che non è iniziata con il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, ma ben prima. Vi è chi giustifica in Occidente l’invasione militare israeliana con il “diritto di legittima difesa”. Ma ci sono filmati che mostrano l’enorme distruzione a Gaza, spazi prima abitati e ora divenuti cumuli infiniti di cemento armato senza vita. Questa è legittima difesa?
Non si tratta di essere con Israele o con la Palestina. Non si può sostenere Hamas poiché ogni movimento integralista che fa uso politico e ideologico della religione, non può che persistere nell’impiego della violenza e, quindi, non può permettere alcun futuro di pace e di coesistenza. Tuttavia, in linea con il diritto internazionale, si deve riconoscere al popolo palestinese il diritto di difendersi contro l’occupazione della sua terra, almeno a Gaza e in Cisgiordania, all’interno di quei confini che gli sono stati internazionalmente riconosciuti con la frontiera del 4 giugno del 1967. Né si tratta di considerare legittima o illegittima l’occupazione degli altri territori palestinesi. Alla costruzione della pace serve che nessuna delle due parti usi più lo slogan “From the river to the sea”, che implica la prospettiva della totale eliminazione dell’altro. La Corte Internazionale di Giustizia Penale all’Aja ha di recente decretato l’arresto di Netanyahu e Gallant, nel governo israeliano, e dei leader di Hamas, nel frattempo tutti uccisi da Israele. Quanti stati al mondo e in Occidente prenderanno sul serio questa decisione presa dalla Corte che loro stessi hanno fondato? Prima di questa sentenza, il Papa aveva già invitato – secondo me tardi, ma meglio tardi che mai – a verificare se l’intervento di Israele in Palestina potesse essere ricompreso nel reato di genocidio, secondo i criteri fissati dal diritto internazionale.
Dal mio punto di vista, come monaco, rigetto in linea di principio, e fermamente, ogni forma di violenza e credo che solo attraverso l’incontro, l’ascolto e il dialogo si possano costruire autentiche e stabili vie di pace che conducano al pieno rispetto reciproco delle differenze sociali e culturali, alla convivenza tra le religioni e alla realizzazione della fraternità umana. Così sia.
Quale è la nostra speranza?
La Chiesa non è una comunità contro altre … Non è nemmeno una comunità tra le altre, una comunità in più da sommarsi al numero totale delle altre. Piuttosto, a causa del nostro battesimo e del nostro rapporto con Gesù (‘Isa) Cristo, ci troviamo di fronte a una pretesa spaventosa: che dentro di noi c'è il lievito del completamento di ogni religione e di ogni comunità. E che in ogni comunità c’è un tesoro per il completamento di ciò che noi siamo del mistero ecclesiale. Diciamo, con spaventosa esagerazione, che la Chiesa è il progetto di Dio nella creazione dell'universo.
(Paolo Dall’Oglio)
Secondo diverse statistiche, i cristiani in Siria appartenenti a tutte le denominazioni, ortodossi, cattolici e protestanti, non superano le 250 mila persone. La maggioranza di loro, se e quando potrà, lascerà la Siria definitivamente, alcuni addirittura vendendo tutte le loro proprietà. Questo vale anche per tantissimi, se non per la maggioranza dei musulmani. Le ripercussioni sulle comunità cristiane sono però diverse da quelle sulle comunità musulmane. Per i cristiani bisogna suonare l’allarme per il concreto pericolo della loro estinzione: la chiesa in Siria sta morendo! Questa è una responsabilità storica in un momento cruciale della vita della Chiesa in questa terra. Cosa altro dobbiamo aspettare prima di dirlo, gridarlo non soltanto sulla stampa, nelle conferenze o negli incontri del clero? Se non ora quando? La terra che ha dato il nome “cristiani” ai primi discepoli si sta svuotando di loro, sta diventando un museo che conserva qualche esemplare dei cristiani di questa terra. Perfino tanti sacerdoti, sposati e non, stanno emigrando, abbandonando i propri fedeli. Nulla potrà impedire questa emorragia. Nessun aiuto materiale né cambiamento politico o militare... nessuna pace. Anzi un’eventuale pace stabile accelererebbe il processo d’emigrazione.
I cristiani siriani, in genere, non vogliono più – e non so se veramente hanno mai voluto – vivere sotto ai musulmani e, forse, nemmeno con loro. Ho scritto ai nostri patriarchi, vescovi e anche al Papa, per dire che dobbiamo informare i cristiani siriani del loro vero numero, non per impedire l’emigrazione ma per adempiere il nostro dovere di pastori del gregge di Cristo. Questo è un loro diritto, ed essi devono essere consapevoli di quanti sono. È sulla roccia della consapevolezza che dobbiamo fondare la nostra chiesa e la nostra presenza in Oriente. Non perché semplicemente siamo nati lì: essere cristiani è una missione e non un dato anagrafico. Questo vale per la Siria, l’Iraq, il Libano, per tutto l’Oriente. I cristiani possono rimanere in Oriente a una sola ed unica condizione: trovare il senso di essere cristiani lì, cioè capire la loro missione. Un cristiano non può restare in Oriente se la sua logica è il confronto e la competizione con l’Islam e i musulmani, essere contro e con sentimenti di odio verso di loro, ma nemmeno rimanere malgrado loro e né soltanto accanto a loro. Perché il destino di un tale cristiano è, prima o poi, andarsene. Quella che può restare è una Chiesa con l’Islam e per l’Islam, non contro di esso, una Chiesa che non teme di essere un piccolo gregge, né di essere perdente. Abbiamo una missione, quella di testimoniare Cristo e il suo amore per l’Islam; predicare annunciando che: “vivere insieme ai musulmani – anche se è difficile, impegnativo, costoso o addirittura pericoloso – è possibile, e non è soltanto possibile, ma è soprattutto bello, consolante e doveroso. Possiamo profetizzare che la fratellanza universale non è una utopia ma è una meta raggiungibile”. È chiaro che il destino di noi cristiani in Siria dipenderà più dalla nostra visione e disposizione verso i musulmani che da quella dei musulmani verso di noi. Se li amiamo ci ameranno. Mi rendo conto che questa prospettiva non vale necessariamente per tutti i cristiani, ma vale certamente per quanti accolgono come dono e missione il vivere in Oriente come un “piccolo resto” che ha la chiamata evangelica ad essere un “potenziale capace di vivere” come il lievito nell’impasto.
Mentre si traduceva questa lettera in altre lingue, la Siria è cambiata per sempre, la Siria è finalmente libera dal regime tirannico (il minimo che possiamo dire) degli Assad e del partito Bàth. Speriamo di non scivolare ora in una guerra civile, in divisioni e in battaglie causate da interessi stranieri sulla nostra terra. La Siria ha bisogno dello sforzo dei suoi figli e delle sue figlie per costruire un futuro fiorente con una costituzione scritta, condivisa e rispettata da tutti. Speriamo e lavoriamo per un paese inclusivo dove tutti si sentono a casa, con gli stessi diritti e stessi doveri. I cristiani non devono aver paura e non devono chiedere soltanto che siano rispettati i loro diritti, non devono preoccuparsi solo per le loro comunità ma per tutte le comunità che vivono in questo paese. Dobbiamo lavorare assieme per il bene di tutti i siriani affinché questo paese risorga a vita nuova. Preghiamo Dio che la Comunità internazionale possa assumere onestamente —almeno una volta nella sua storia— un ruolo che favorisca una soluzione di pace e di giustizia in favore di tutti i siriani.
La speranza del mondo è la bellezza. Testimoniamo alle generazioni future che costruire ponti non omologa le differenze, né azzera le tradizioni, ma arricchisce tutti. Perché i ponti permettono di incontrarsi. C’è bisogno di paziente attesa e desiderio ardente di bellezza condivisa, cioè di offrire i propri tesori all’altro e sperare che condivida con noi i suoi. Oggi, più che mai, la gente è senza riferimenti, non sa più dove guardare, tanti non sono soddisfatti anche se hanno tutto. Il mondo ha bisogno di Dio, del Dio Vero, tenero, bello ed amorevole verso gli uomini. L’umanità è stanca ed è affetta da tante malattie, ha bisogno di un medico e di una medicina, non soltanto di cure palliative. Ha bisogno di sperimentare che la vita spirituale è una cosa seria e reale. La nostra speranza è poter vedere cancellate le divisioni e abolite le frontiere che etichettano l’altro come nemico. Speriamo di non avere più nemici. Ma se scopriamo di averli ancora, allora dovremo avere il coraggio e l’umiltà di fare pace con i propri nemici, il coraggio di perdonare e di chiedere perdono. Questo è il Natale, Dio che perdona e viene per cancellare ogni inimicizia.
Monaco Jihad, Superiore del Monastero
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