(tradotto dall'arabo: facebook)
4 marzo 2025
Lo Stato non ha una religione, ma i cittadini e le cittadine hanno le loro religioni. A mio parere, non è necessario menzionare la religione dello Stato né nella dichiarazione costituzionale provvisoria né nella Costituzione permanente, poiché lo Stato non ha una religione, bensì sono i cittadini ad averne una, e potrebbero anche non averne se non per nascita.
Non è necessario neppure menzionare che la religione del capo dello Stato sia l’Islam in questi due documenti per due motivi. Primo, affinché i cittadini non musulmani, indipendentemente dal loro numero, non si sentano cittadini di seconda classe e non si considerino su un piano di disuguaglianza rispetto ai loro fratelli musulmani. Secondo, perché è ovvio, soprattutto in questa fase, che qualsiasi elezione equa porterà all’elezione di un presidente musulmano sunnita. Io stesso voterei per un presidente sunnita, a condizione che ci siano almeno tre candidati reali o più. Con “reali” intendo candidati liberi nella loro candidatura e nella loro rappresentanza politica e intellettuale, senza che siano tutti della stessa corrente, come accade nell’attuale governo di transizione di fatto.
Io, in quanto cittadino cristiano, non sono contro l’Islam né contro la Sharia islamica. Non trovo alcun problema nel dire che la Sharia islamica sia una delle principali fonti di legislazione, purché non sia l’unica fonte, poiché non viviamo in uno Stato califfale. A questo proposito, vorrei sottolineare che gridare ad alta voce durante la Conferenza di Dialogo Nazionale “Ti abbiamo dato la nostra fedeltà! Ti abbiamo dato la nostra fedeltà!” è inaccettabile. Non abbiamo infatti dato la nostra fedeltà al signor Ahmad al-Shar‘, né lo abbiamo incaricato di rappresentarci. Come tutti sanno, egli è salito al potere sulla scia della rivoluzione, grazie alla lotta armata, raccogliendo il frutto finale della rivoluzione siriana, frutto per il quale tutti coloro che hanno lottato dentro e fuori il Paese si sono sacrificati. Lo ha detto lui stesso nel discorso di insediamento. Il presidente deve tenerne conto e collaborare con tutti i cittadini onesti che vogliono lavorare per il bene della Siria e del suo futuro. Io lo sostengo e lo esorto a rispettare il discorso positivo e inclusivo che ha pronunciato, sperando che continui a sviluppare il suo discorso politico e a chiarire la sua posizione sulla futura forma di governo, in particolare su concetti come democrazia, cittadinanza e uguaglianza. Altrimenti, la Siria rifiuterà qualsiasi struttura che le stia stretta, poiché non è in grado di sopportare alcuna ideologia esclusiva e monocromatica.
Tornando al tema della Sharia islamica, molti cristiani ne provano avversione semplicemente al sentirne il nome, per ignoranza, poiché ne conoscono solo alcuni aspetti, come il divieto di alcol e carne di maiale, o altri elementi come l’imposizione del velo, che contrastano prima con le loro tradizioni culturali e poi con quelle religiose. Ripeto, non sono contrario al fatto che la Sharia sia una delle principali fonti di legislazione, perché in effetti, al momento della sua nascita, fu all’avanguardia in molte questioni e contiene principi di progresso, raffinatezza e profondità su numerosi aspetti. Tuttavia, oggi non possiamo limitarci esclusivamente al modello religioso nella legislazione. Esistono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, i trattati internazionali e altre conquiste maturate attraverso le lotte dei popoli e l’evoluzione del pensiero politico nel corso dei secoli. Questi elementi non dovrebbero essere assenti né dalla Costituzione provvisoria né, soprattutto, da quella permanente del Paese.
Oggi è noto a tutti che esiste una corrente salafita islamista che vuole trasformare la Siria in uno Stato religioso uniforme. Ma ciò non si addice alla Siria, data la sua diversità religiosa, etnica, culturale, politica e intellettuale. Quando parlo di diversità religiosa, mi riferisco anche alla diversità interna all’Islam in generale e al sunnismo in particolare, poiché non tutti i sunniti siriani sono dello stesso orientamento e non tutti – anzi, la maggioranza – desiderano uno Stato religioso. Bisogna prestare attenzione al fatto che la creazione di uno Stato religioso in Siria sarebbe un grande favore a Israele, facilitando il suo percorso per diventare uno Stato religioso ebraico.
Credo nella necessità del dialogo con i nostri fratelli e sorelle salafiti, indipendentemente da come scelgano di definirsi, e con ogni componente della società, per quanto possa essere distante dalle mie convinzioni. Tuttavia, non possiamo riuscirci se ci approcciamo con tensione e pessimismo. D’altro canto, è essenziale comprendere le aspirazioni dei musulmani e ciò che hanno vissuto e sofferto negli anni precedenti sotto il regime autoritario. So che questa mia affermazione susciterà le critiche di molti, ma non posso che esprimere ciò in cui credo. Tutti noi, di ogni comunità, confessione e religione, dobbiamo imparare a riconoscere le sofferenze reciproche e ad ascoltare le paure degli altri. Se ognuno di noi aspetta che siano gli altri a fare il primo passo, senza agire in prima persona, resteremo tutti immobili e nessun progresso sarà possibile. Ognuno di noi deve compiere uno sforzo sincero, senza scoraggiarsi né arrendersi di fronte alle difficoltà.
E che Dio ci guidi sulla via del bene.
P. Jihad Youssef, superiore della comunità di Deir Mar Musa